Il Sig. Rino Tollari, amico dell’ASD Ruzzola Club Milano, si è ritrovato casualmente a dialogare con la ruzzola.
Dal suo dialogo-riflessione possiamo estrapolare quanto da essa dichiarato e quali siano le volontà dell’amica e vecchia ruzzola.
LA RUZZOLA
Si chiamava Etruria. L’epoca era quella preromanica, il territorio era delimitato a nord ed a est dai fiumi Arno e Tevere, a ovest interamente prospiciente il mar Tirreno. L’attività industriale era rappresentata dalla lavorazione dei metalli con sfruttamento di proprie e abbondanti risorse minerarie. La produzione e l’esportazione in tutto il mondo conosciuto, di vasellame in ceramica, i famosi “buccheri”, l’avevano resa universalmente famosa. L’agricoltura era dedita soprattutto alla coltivazione di viti, cereali, olive e la pesca praticata in un mare, oltremodo generoso, costituivano l’attività portante dell’intera economia.
L’allevamento del bestiame e la pastorizia rappresentavano un ulteriore importante sostegno all’equilibrio del generale e specifico benessere della zona. Era come si dice una ricca oasi in un deserto di miseria infinita.
Io, “forma di formaggio pecorino”, oggi rivendico i miei natali e il mio istradamento sportivo in questi territori. Insieme ai miei fratelli e discendenti, venivamo prodotti in taglie da due chili circa e posti sulle assi in apposite caverne fino alla completa stagionatura, in attesa del momento di deliziare il palato dell’uomo sempre in ansiosa attesa, che al momento del consumo, nelle sue dichiarazioni, riconosceva i nostri autentici meriti. In tali condizioni col succedersi delle mie generazioni, passarono secoli e fummo incessantemente esempi irreprensibili del nostro dovere nutrizionale.
Capisco che sostenere circostanze così lontane nel tempo, sia oggi cosa assai ardua, ma testimonianze grafiche e pittoriche rinvenute all’interno di una tomba dell’epoca, confermano quanto dichiarato con sicurezza. Infatti, sono comparsi recentemente, affreschi raffiguranti un ragazzo nell’atto di lanciare un disco, riconducibile in modo inequivocabile al giuoco della ruzzola, in quanto già corredato di sistema a fettuccia arrotolata per il suo lancio, come ai giorni nostri.
Fin dalla notte dei tempi, si sa, i cicli degli eventi catastrofici naturali o creati per negligenza umana, ebbero purtroppo incredibile puntualità. Una carestia biblica oltre duemila anni fa si abbatté nella zona per un tempo interminabile e quel mondo, piombò nella peggior crisi economica, fino a costringere gli abitanti a mangiare unicamente a giorni alterni. Solo per fortuna i miei genitori si trovarono fra gli eletti produttori di derrate alimentari e continuarono imperterriti a pascolare le proprie greggi nei prati totalmente liberi e disponibili per queste necessità.
Un giorno si incontrarono due pastori con spirito ludico e con il vezzo del rischio. Essi, avevano il solo impegno di sorvegliare le pecore per cui, con l’aiuto dei cani, vivevano oziando buna parte del giorno. Per ammazzare il tempo inoperoso, decisero quindi di misurarsi su chi avesse maggior destrezza nel lancio di pietre raccolte alla rinfusa. Poiché queste presentavano forme e pesi sempre diversi non riuscivano mai a decretare il più forte dei due con certezza assoluta.
Venne quindi automatico optare per un peso unificato e di forma conforme alla bisogna. Poiché il peso dei formaggi di loro produzione era pressoché identico, pensarono di lanciare ognuno un proprio formaggio stagionato, mettendolo in palio, quale premio per chi l’avesse tirato più lontano.
Un po’ per fame, un po’ per sfida, un po’ per divertimento il giochetto si fece assiduo e interessante anche per altri loro colleghi e per ragioni di transumanza, in pochissimo tempo, si diffuse a macchia d’olio sull’intero territorio frequentato dalle numerose mandrie al pascolo.
Le altre ragioni di un successo così immediato e generalizzato furono da subito manifeste:
– La sfida si disputava su mulattiere impervie, disseminate di ostacoli e difficoltà, che proprio per questo, aumentavano il divertimento e l’interesse per la gara sempre più ardua e accesa.
– Questi sconnessi sentieri erano ricavati nella folta vegetazione per cui i frequentatori traevano fortificante benessere dall’ossigenazione forzata e dal fresco silvano.
– Nel momento del lancio, Il gioco comportava un sforzo immane coinvolgendo l’intero apparato muscolare dell’individuo partecipante. La forma di formaggio lanciata, doveva essere poi seguita lungo l’intero tragitto, per il rigoroso controllo della sua posizione di arresto, dalla quale, con severa precisione bisognava ripartire per il tiro successivo. Questa pratica produceva conseguenti benefici derivanti dalla deambulazione continua, e quindi garantiva il mantenimento della perfetta condizione fisica dei giocatori medesimi, nonché dei loro tifosi, anch’essi operosi controllori di ogni centimetro di tratturo, compensati in seguito dal diritto di partecipare con avidità alla divisione del vittorioso premio finale.
– Il gioco apparentemente banale, era invece di estrema difficoltà tecnica in quanto doveva essere dosata la giusta potenza di tiro, con necessità di affrontare curve a destra o a sinistra nel rispetto delle asperità morfologiche del terreno e con l’osservanza più rigorosa del percorso stabilito. Un eventuale sconfinamento dai margini laterali della traccia convenuta, “sbiffo” avrebbe comportato l’obbligo di tiri a ritroso per rientrarvi, con le prevedibili penalità assai mortificanti.
– Alla fine della contesa sportiva il successo non esaltava più di tanto il gongolante vincitore che immediatamente, con sentimento di amicizia vera, metteva a disposizione della brigata il formaggio appena vinto, affinché unito al pane e al vino comunemente offerto, desse luogo ad un simpaticissimo e collettivo momento conviviale, stimolando anche una invidiabile e allegra socializzazione.
– Anche l’aspetto aggregativo era motivo di positiva valutazione. Infatti dava ad ognuno la possibilità di trascorrere giornate in compagnia di amici sinceri in luoghi accoglienti, divertenti e salutari, con spettacolo garantito, senza l’onere di qualsivoglia richiesta economica.
– Alla sera il rientro a casa avveniva con maggior serenità e disponibilità verso tutti in particolare per assecondare la moglie in ogni suo programma. La stanchezza fisica, ampiamente giustificata, rassicurava quella tonicità corporea anche allora motivo di orgoglio, cercata per una maggior salute e per ostentare quella vitalità cercata anche se non più ventenni.
Nel corso dei secoli, gli uomini, sempre in cerca di un miglioramento tecnico continuo, affrontarono le prime esigenze per un miglioramento del lancio della forma, sostenuta all’epoca ancora solamente con le dita all’incirca come il discobolo di oggi. Poiché anche allora il cervello umano già funzionava, pensarono di aggiungere al sistema un elemento tecnologicamente all’avanguardia: si trattava di arrotolare la forma di formaggio con una corda, da un lato fissata al polso in modo tale che lanciandola le venisse impresso un moto rotatorio con notevole vantaggio sul risultato terminale, in perfetta corrispondenza con gli obiettivi precalcolati.
Successivamente sempre con gli stessi intenti si pervenne ad un ulteriore miglioramento tecnico con l’aggiunta lungo la corda di un rocchetto di presa, raggiungendo in questo modo, davvero la perfezione per imprimere al tiro la massima potenza.
Il sistema così perfezionato fu adottato per secoli, fino a ridosso della nostra epoca, ritoccando di tanto in tanto solamente qualche prescrizione di regolamento comportamentale.
Nessuno può opporsi all’evoluzione che tutto travolge. Fu così che all’incirca un secolo fa nell’esigenza di una maggior praticità e per consentire la partecipazione di tutti a questo magnifico gioco, mi trovai obbligata a dover abdicare in favore di una mia sosia realizzata in legno. Dopo centinaia di anni di onorato servizio, fui costretta ad un dignitoso abbandono della vita dinamica e ruzzolante all’aria aperta, per ripiegare immobile e castigata, sull’asse di stagionatura della cantina, dimostrando solamente che si può vivere anche di solo ricordi.
La sedentarietà non mi impediva certamente di pensare. Speravo nella prosecuzione della nostra secolare tradizione e sulla conservazione dello spirito del gioco con tutte le sue tipiche prerogative; pensando però all’intervento “Coni” e alla sua registrazione nell’elenco “Unesco”, quale sport popolare riconosciuto, inevitabili incertezze mi affiorano alla mente: come capostipite e fondatrice dell’attività ludica, vorrei che il nostro gioco rimanesse inalterato nel tempo, in ogni suo aspetto. Temo però l’eventuale disinteresse al gioco medesimo per il disagio quasi “vergogna” dei seguaci che sanno apprezzarlo, in quanto da sempre accostato con sdegno e a sproposito al trastullo dei poveri costretti alla miseria più nera. Mi tormenta il pensiero per l’eventuale stravolgimento del suo carattere ancora fatto di autentica simpatia, popolarità e semplicità. Per fortuna a tutt’oggi, all’infuori della materia impiegata per il realizzo dello strumento di gioco, tutto è rimasto invariato con il fascino accattivante di sempre e inalterata è rimasta la sua filosofia di base. L’unica perplessità è sollevata dalla soppressione della consuetudine di appendere la forma di formaggio in piazza quale guanto di sfida a singolar tenzone, in attesa del temerario con il coraggio di staccarla. A questo proposito è opportuno ricordare che già nella stessa piazza, un’altra divertente manifestazione “il coccetto pasquale” è ormai finito miseramente nell’oblio. E questo mi spaventa alquanto!
Non nascondo anche altre mie perplessità relative alla eventuale sua deriva, verso uno snobismo e una spocchia “British” per l’esempio sciocco del loro banalissimo sport chiamato “golf” che induce imitazione e potrebbe inquinare il nostro straordinario gioco con le mire di trasformarlo in uno sport asettico, freddo e solo competitivo.
Gli inglesi che a distanza di secoli non hanno saputo nemmeno copiarlo nella sua fondamentale intimità, non possono certamente sovrapporsi a valori tanto alti. Con il loro ridicolo abbigliamento di circostanza, saranno certamente più raffinati e spettacolari, ma gli italiani sono sicuramente più simpatici!
Firmato
LA RUZZOLA